Legittimo l’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-Cov-2 per il personale sanitario

14 Febbraio 2023

Con la sentenza n.14 del 2023 (redattore Filippo Patroni Griffi) depositata in data 9 febbraio 2023, la Corte ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, concernente l’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-Cov-2 per il personale sanitario.

Dello stesso tenore anche la sentenza n.15 del 2023 (redattore Stefano Petitti) sui lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie.

La Corte ha ritenuto non fondate le questioni di costituzionalità attinenti: i) obbligo vaccinale (temporaneo) del personale sanitario; ii) esclusione, in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale e per il tempo della sospensione, della corresponsione di un assegno a carico del datore di lavoro per chi sia stato sospeso, e ciò, sia per il personale sanitario che per il personale scolastico; iii) mancata esclusione della necessità di prestare il consenso informato alla vaccinazione.

Quanto alle misure attinenti all’obbligo vaccinale la Corte ha ribadito le condizioni in presenza delle quali l’obbligo vaccinale o una forte incentivazione alla vaccinazione sono legittime:

a) il trattamento deve essere diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare quello degli altri;

b) il trattamento non deve incidere negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; 

c) nell’ipotesi di danno comunque derivante dal vaccino, deve comunque essere prevista la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria.

Quanto alla prima condizione (trattamento vaccinale utile anche alla comunità), la Corte ha ribadito la centralità del principio solidaristico, che rappresenta «la base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente».

Al “deflagrare di un’emergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari”, le misure di obbligo o incentivazione alla vaccinazione hanno in vario modo realizzato l’interesse della collettività (come richiesto dall’art. 32 della Costituzione), e ciò sia per il contributo offerto alla riduzione dei contagi (particolarmente con le prime varianti del virus), sia per l’efficacia rispetto all’obiettivo di “evitare l’interruzione di servizi essenziali per la comunità” (quali sanità e scuola), sia infine per l’utilità rispetto al complessivo pericolo di “congestione delle strutture ospedaliere e dei reparti intensivi” e per “proteggere quanti entrano in contatto” con gli operatori sanitari.

Quanto alla seconda condizione (sicurezza complessiva del vaccino), la Corte ha sottolineato che l’astratta possibilità, in casi rari, come per tutti i farmaci, di eventi avversi anche gravi, non elimina la sicurezza complessiva del vaccino in questione, considerato che, “secondo le evidenze raccolte in modo inoppugnabile dalla comunità scientifica, i benefici del trattamento superano chiaramente i rischi, e ciò sia per il soggetto che riceve il trattamento, sia per la comunità nel suo complesso”.

A questo riguardo la Corte ha opportunamente insistito sull’esistenza nel nostro ordinamento di una riserva di scienza, vale a dire del dovere di Governo e Parlamento di adottare decisioni sempre fondate sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali, acquisite attraverso gli organi tecnico-scientifici dello Stato e della comunità internazionale e non attraverso opinioni di singoli esperti, che del resto non si saprebbe come scegliere.

Quanto infine alla terza condizione (previsione di un indennizzo nel caso di danni), la Corte ha sottolineato come, nei casi rari di effettivo e serio danno da vaccino, sia previsto dalla legge un indennizzo, tanto per le vaccinazioni obbligatorie come per quelle solo raccomandate.

La Corte ha ritenuto proporzionato e non irragionevole l’obbligo introdotto dal legislatore per alcune categorie, perché temporaneo e soggetto a revisione, tanto che la fine del periodo di obbligo è stata anticipata “appena la situazione epidemiologica lo ha consentito”, e perché si è trattato di una mera sospensione del rapporto lavorativo, senza alcuna conseguenza di tipo disciplinare, e non di una sua risoluzione.

Come anticipato con il comunicato del 1° dicembre scorso, la Corte ha ritenuto che la scelta assunta dal legislatore al fine di prevenire la diffusione del virus, limitandone la circolazione, non possa ritenersi irragionevole né sproporzionata, alla luce della situazione epidemiologica e delle risultanze scientifiche disponibili.

In continuità con la propria giurisprudenza in materia di trattamenti sanitari obbligatori, la Corte ha ribadito innanzitutto che l’articolo 32 della Costituzione affida al legislatore il compito di bilanciare, alla luce del principio di solidarietà, il diritto dell’individuo all’autodeterminazione rispetto alla propria salute con il coesistente diritto alla salute degli altri e quindi con l’interesse della collettività.

In applicazione di questi princìpi, la Corte ha giudicato non fondati i dubbi di costituzionalità prospettati dal giudice rimettente: di fronte alla situazione epidemiologica in atto, infatti, il legislatore ha tenuto conto dei dati forniti dalle autorità scientifico-sanitarie, nazionali e sovranazionali, istituzionalmente preposte al settore, quanto a efficacia e sicurezza dei vaccini; e, sulla base di questi dati scientificamente attendibili, ha operato una scelta che non appare inidonea allo scopo, né irragionevole o sproporzionata.

Come emerge dall’analisi comparata, del resto, misure simili sono state adottate anche in altri Paesi europei. Nella sua pronuncia, in particolare, la Corte ha chiarito – sempre in linea con la propria giurisprudenza – che il rischio remoto, non eliminabile, che si possano verificare eventi avversi anche gravi sulla salute del singolo, non rende di per sé costituzionalmente illegittima la previsione di un trattamento sanitario obbligatorio, ma costituisce semmai titolo all’indennizzo.

Si legge nella motivazione della sentenza:

Non può, pertanto, condividersi la lettura che il Collegio rimettente dà della giurisprudenza di questa Corte, la quale ha, per contro, affermato che devono ritenersi leciti i trattamenti sanitari, e tra questi le vaccinazioni obbligatorie, che, al fine di tutelare la salute collettiva, possano comportare il rischio di ‘conseguenze indesiderate, pregiudizievoli oltre il limite del normalmente tollerabile’ (sentenza numero 118 del 1996).

Quanto, infine, alla censura di contraddittorietà di una disciplina che impone il consenso a fronte di un obbligo vaccinale, la Corte ha rilevato che:

l’obbligatorietà del vaccino lascia comunque al singolo la possibilità di scegliere se adempiere o sottrarsi all’obbligo, assumendosi responsabilmente, in questo secondo caso, le conseguenze previste dalla legge.

Qualora, invece, il singolo adempia all’obbligo vaccinale:

il consenso, pur a fronte dell’obbligo, è rivolto, proprio nel rispetto dell’intangibilità della persona, ad autorizzare la materiale inoculazione del vaccino.

Da ultimo la Corte nella sentenza n. 16/2023, depositata, come le altre, il 9 febbraio 2023, ha invece dichiarato improcedibile per ragioni processuali la questione di costituzionalità riguardante le norme che non avevano limitato la sospensione dall’esercizio della professione sanitaria alle sole prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o che comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.

Il motivo dell’improcedibilità è molto tecnico, riguardando il fatto che il giudice che ha sollevato la questione di fronte alla Corte (TAR della Lombardia) non aveva giurisdizione per occuparsi della questione, in quanto la causa avrebbe dovuto essere radicata presso il giudice ordinario e non presso il giudice amministrativo.

L’improcedibilità della questione di costituzionalità ha impedito alla Corte di valutare il merito della questione.

Alcuni commentatori hanno osservato che sarebbe stato probabilmente più complesso giustificare la proporzionalità e ragionevolezza delle disposizioni che hanno disposto la sospensione dall’esercizio della professione sanitaria anche a chi esercitava la professione senza alcun contatto interpersonale

Aggiorna le preferenze dei Cookie