Il dipendente ha diritto a godere di un periodo di ferie ed evitare il superamento del comporto
Secondo Cass. Sez. Lav. ord. 14 settembre 2020 n. 19062 è illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore che, richiesto di poter usufruire le ferie maturate e non godute sì da sospendere il comporto, si sia poi assentato per malattia: il rifiuto di concedere le ferie può essere giustificato soltanto da comprovate ragioni organizzative.
Il caso
Una lavoratrice, già reintegrata nel suo posto di lavoro dal Tribunale del Lavoro, lamentava di essere
stata collocata in una più lontana sede di lavoro con mansioni deteriori che avevano peggiorato le sue condizioni di salute costringendola ad una lunga assenza per malattia quasi sino all’esaurimento del periodo di comporto. Sicché chiesto un periodo di ferie di 20 giorni, che la società le accordava per un solo giorno confermando il detto trasferimento, cui essa si opponeva comunicando certificazione sanitaria.
L’azienda la licenziava in tronco per assenze ingiustificate nonostante la documentazione fornita.
La decisione della Corte e il filone giurisprudenziale
La Suprema Corte ribadisce l’orientamento consolidato secondo cui qualora la richiesta di ferie sia finalizzata ad evitare il superamento del periodo di comporto è illegittimo il rifiuto da parte del datore di lavoro se non supportato da comprovate ragioni organizzative. Qualora le ferie siano finalizzate al mutamento del titolo dell’assenza devono essere concesse al lavoratore a meno che il datore di lavoro non dimostri comprovate ragioni organizzative impeditive dell’accoglimento della richiesta (cfr ex plurimis Cass. Civ. Sez. lav., ord. 17 aprile 2019, n. 10725; Cass. Civ sez. lav., ord. 3 marzo 2009, n. 5078).
La Corte accoglie il ricorso evidenziando come le assenze successive all’unico giorno di ferie concesso fossero giustificate da documentazione medica e quindi non sussiste la giusta causa di licenziamento per assenze ingiustificate in quanto la ricorrente era in malattia. Secondo gli Ermellini l’interesse del lavoratore che rischia di essere licenziato a causa del superamento del periodo di comporto prevale rispetto al potere organizzativo datoriale.
L’ordinanza aderisce al filone giurisprudenziale che valorizza le clausole generali di correttezza e buona fede nel bilanciamento tra le esigenze organizzative datoriali e l’interesse del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro.